Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "Siamo un paese politicamente votato all’opposizione. Meloni governa, premiata dagli elettori per essere stata l’unica leader sui banchi dell’opposizione per un’intera legislatura. Governa ma non trascura mai di mettere in risalto quanto forte sia il suo spirito critico verso i suoi avversari e predecessori. Schlein si oppone al governo, ma si oppone anche spesso e volentieri al suo stesso partito di ieri e ieri l’altro. Conte e Calenda non sono da meno nel cercare, ognuno a suo modo, qualche avversario e perfino qualche potenziale alleato da fustigare. E così via, ora con toni sopra le righe, ora con più rispetto di un certo galateo. Ma sempre con l’idea che il nostro antagonista sia la fonte principale della ragione che andiamo rivendicando a nostro favore. C’è qualcosa di antico, in tutto questo. E’ la tradizione dei democristiani e dei comunisti di una volta, che raccoglievano consenso gli uni contro gli altri. E’ la pretesa della Dc di proclamarsi “alternativa a se stessa” nel contesto di una democrazia ancora bloccata in virtù delle contrapposizioni ideologiche che la attraversavano. Ed è, più di recente, quella attitudine di forze che si definivano “di lotta e di governo” spingendosi a occupare le pubbliche piazze per contestare provvedimenti che magari avevano approvato, sia pure obtorto collo, qualche ora prima. Insomma un lungo rosario di incoerenze da parte di partiti che si mostravano più a loro agio vestendo i panni della protesta piuttosto che indossando austere e scomode divise di governo. A questa lunga tradizione ha finito per dare il suo paradossale contributo l’avvento di una cultura politica (chiamiamola così, generosamente) di stampo populista. Laddove la scelta del nemico e la semina di un sentimento di sfiducia ad ampio spettro hanno favorito la denuncia degli errori altrui piuttosto che l’assunzione delle più scomode responsabilità proprie. Così, ognuno finisce per parlare alla pancia del proprio elettorato o di quello che si spera di conquistare. E non c’è modo più sicuro di riuscire nell’impresa che quello di schierarsi dalla parte di chi non è contento di come vanno le cose. Una china scivolosa, lungo la quale chi amministra il potere fa prima a indicare nei suoi avversari e nel loro passato le maggiori responsabilità di tutto quello che non funziona. Infatti, se c’è da prendere una decisione impopolare, o anche solo poco redditizia, non c’è miglior giustificazione che addossarne il peso ai governi di prima o ai propri avversari. Tecnica che hanno adoperato un po’ tutti, a dire il vero. E che finisce però per confondere le cose a vantaggio di (quasi) nessuno. Il fatto è che di questo passo ogni partito, ogni schieramento si trova infine a parlare solo ai propri cari. E nessuno, o quasi nessuno, sembra più capace di catturare almeno l’attenzione di chi milita altrove. Le posizioni si irrigidiscono in una narrazione che diventa progressivamente sempre più unilaterale. Con l’effetto, tra l’altro, di indurre una quota sempre maggiore di votanti a disertare le urne -come s’è appena visto. Eppure la logica di una democrazia matura dovrebbe spingere nella direzione contraria. Inducendo ogni partito a tentare di convincere almeno una parte degli elettori che militano altrove. E generando quel movimento di opinione che è vitale per il funzionamento delle istituzioni. E’ ovvio che parlare agli avversari senza fare loro il viso dell’arme comporta sempre il rischio di scontentare una parte della propria metà campo. Ma è proprio in quel parlarsi al di là dello steccato che una democrazia si arricchisce e riesce infine a diventare più interessante e movimentata, meno rigida di come l’abbiamo praticata, un po’ tutti, in questi anni. Sotto questo profilo si dovrebbe dare atto a Giorgia Meloni e a Maurizio Landini di aver fatto -tutti e due- un piccolo, piccolissimo passo nella direzione giusta. Se poi si tratti di un’eccezione alle regole seguite fin qui o l’inizio di una regola nuova, si vedrà. Con lo scetticismo che è dovuto alle pratiche seguite un po’ da tutti in tutti questi anni". (di Marco Follini)