Roma, 17 ott. (Adnkronos) - "Bene l’impegno comune per cercare di tenere fermi i prezzi di beni alimentari di prima necessità inseriti nel carrello del “trimestre anti-inflazione" ma con i dovuti distinguo". Ad affermarlo in una nota è Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, in occasione del tavolo permanente anti-inflazione tenutosi oggi al Ministero delle Imprese e del Made in Italy alla presenza dei ministri delle Imprese, Adolfo Urso e il ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida. "Purtroppo gli ultimi tre mesi dell’anno - sottolinea Scordamaglia - saranno duri per molti produttori agricoli ed alimentari per l’imprevedibilità del costo dell’energia a causa dei recenti drammatici episodi in Medio Oriente, per il costo del denaro che ha ampiamente compensato la riduzione del costo energetico negli ultimi mesi nei bilanci delle aziende e per il passaggio repentino da eccessi di calore e siccità all’arrivo improvviso di gelate e fenomeni estremi che hanno fatto crollare rese e produzione di ampi settori ad esempio dell’ortofrutta", aggiunge Scordamaglia. "Non si possono chiedere gli stessi impegni a chi ha margini su cui intervenire e a chi invece non riesce a coprire costi di produzione drammaticamente esplosi - sottolinea - è per questo che abbiamo proposto al Governo, che su questo si è dimostrato fortemente collaborativo, di affidare ad Ismea un’analisi trasparente e da rendere pubblica dei costi di produzione e delle marginalità delle singole fasi e filiere produttive che facciano capire la differenza tra chi deve chiudere per la mancata copertura dei costi di produzione e chi invece specula". Oggi al tavolo, rileva Scordamaglia, "abbiamo sentito qualcuno dire che una risposta all’inflazione può essere aumentare le importazioni di prodotto a basso costo. Per Filiera Italia non è questa la via, se il prodotto a basso costo viene da Paesi terzi che non rispettano le regole a partire dal lavoro etico". Un esempio emblematico in questo senso è il concentrato di pomodoro proveniente dalla regione dello Xinjiang cinese in cui viene usato lavoro forzato (con minoranze tenute incarcerate costrette a lavorare sui campi) la cui importazione nell’ultimo anno è aumentata enormemente in Italia per un prezzo che è circa la metà del pomodoro prodotto in Italia, ed è per questo che nei giorni scorsi Filiera Italia e Coldiretti ha chiesto alla Commissione europea di vietare l’importazione nella Ue del pomodoro proveniente dallo Xinjiang seguendo l’esempio di Usa, Canada e Regno Unito. "Con il Governo siamo impegnati a favorire un prezzo quanto più equo ed accessibile per beni alimentari di prima necessità a tutte le famiglie, ma verso quelle (poche fortunatamente e ben note) realtà che pensano di approfittare di tale iniziativa per ricominciare a comprare sotto costo di produzione, con aste al ribasso e ricorrendo ad altre pratiche commerciali sleali abbiamo già chiesto l’intervento delle Autorità preposte e l’applicazione delle rigide sanzioni, oggi finalmente proporzionali al fatturato, previste dalla normativa", conclude Scordamaglia.