In Italia il 32% dei detenuti è straniero, sistema carcerario ignora i loro diritti
'Dati, numeri e diritti' raccolti in un volume, presentato oggi a Roma
Roma, 3 feb (AdnKronos) - Nelle carceri italiane il 32% dei detenuti è straniero: 17.403 su un totale di 53.889. La maggior parte di essi è dietro le sbarre per reati minori: basti pensare che le condanne da 0 a 1 anno riguardano il 50% di stranieri, mentre tra quelli condannati a oltre 20 anni gli stranieri sono 'solo' il 12% contro l'88% dei nostri connazionali. Nonostante ciò, nel nostro paese, il luogo comune "le carceri italiane sono piene di stranieri" è duro a morire e la rappresentazione mediatica della situazione carceraria è spesso lontana dai numeri reali. Questi in sintesi alcuni dati e considerazioni contenuti nel volume "Detenuti stranieri in Italia. Norme, numeri e diritti" a cura di Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone, presentato oggi a Roma.
A fronte della grande molte di dati raccolti nel Rapporto, emerge che il sistema giudiziario italiano vive ancora di molti "pregiudizi etnici" e di leggi vecchie che "non tengono affatto conto dei cambiamenti della popolazione carceraria: la riforma penitenziaria del '75, infatti -sostiene Gonnella - è stata pensata per un 'modello' di detenuto esclusivamente italiano: dalle abitudini, alla religione, all'alimentazione, per citare solo qualche esempio.
Non solo. "Anche i dati sulle misure alternative al carcere dimostrano la minore fiducia del sistema verso gli stranieri: questi rappresentano il 17% delle persone che fruiscono di una misura alternativa, con una percentuale molto più bassa (ben 14 punti in meno) rispetto agli stranieri che scontano la loro pena dietro le sbarre".
Rispetto agli altri paesi europei, In Italia la percentuale di detenuti stranieri nelle carceri - con il 32% - è superiore alla media di oltre 11 punti (in Europa su un totale di 1 milione 737mila detenuti, il 21% è straniero. E ancora - emerge dai dati di Antigone - la media percentuale degli stranieri in custodia cautelare rispetto al totale delle persone non condannate presenti in carcere è del 28% contro il 21% della loro rappresentazione complessiva (che comprende i condannati). In Italia la percentuale dei detenuti stranieri in custodia cautelare è più o meno in linea con il dato europeo. "Gli immigrati - sottolinea Gonnella - subiscono maggiormente i provvedimenti cautelari detentivi rispetto ai cosidetti detenuti nazionali".
"La sovra-rappresentazione degli immigrati fra coloro che sono dentro in attesa della condanna è il segno di un sistema giudiziario discriminante su base etnica. Nei confronti di un immigrato irregolare è certamente più difficile trovare soluzioni cautelari diverse dalla carcerazione. I giudici di sovente motivano i provvedimenti di carcerazione sostenendo la tesi che gli immigrati privi di permesso di soggiorno non hanno un domicilio stabile ove poter andare agli arresti domiciliari. In realtà molto spesso - denuncia l'associazione - gli irregolari una casa o una stanza dove vivere ce l’hanno ma non possono essere indicate quale domicilio regolare essendo loro stessi in una generale condizione di irregolarità".
In generale, le presenze in carcere di detenuti stranieri sono uno specchio dei movimenti migratori. In Italia, al primo posto per nazionalità, fra gli stranieri detenuti, ci sono i marocchini (16,9%), seguiti da romeni (16,2%), albanesi (14%) e tunisini (11,2%). Mentre non vi sono dati istituzionali significativi che aiutino a definire con precisione l’identikit sociale della persona straniera detenuta. In particolare - denuncia il Rapporto - l’elemento che più sconcerta è il trattare la comunità straniera come se fosse un unico grande contenitore demografico e sociale indifferenziato. La comprensione, ai fini preventivi e diagnostici, di un fenomeno sociale e criminale richiede invece informazioni puntuali, estremamente dettagliate. Nelle statistiche ufficiali non vi è inoltre alcun riferimento all’eventuale richiesta di asilo politico.
Un Rapporto, quello contenuto nel volume presentato oggi, "che vuole sfatare tutti gli stereotipi sui detenuti stranieri, diffusi tra i cittadini italiani" - sostiene Patrizio Gonnella - ed evidenziare le discriminazioni e i disagi che questi si trovano a vivere durante la detenzione.
"E' innegabile che negli ultimi 40 anni la situazione carceraria in Italia sia profondamente cambiata - ribadisce Gonnella - ma ad oggi abbiamo ancora un sistema di norme e un'organizzazione penitenziaria pensata per un detenuto italiano di altri tempi, un detenuto che ormai non esiste più". Qualche esempio: "continuiamo a pensare che lo straniero sia cattolico come gli italiani, laddove la maggior parte è islamica, ma i luoghi per praticare altre religioni all'interno delle carceri sono inesistenti, e gli islamici devono pregare in cella. Pensiamo poi all'alimentazione: loro vorrebbero mangiare kebab e ciò non sarà mai possibile, così come potrebbero essere formati a preparare kebab mentre i corsi di formazione sono solo quelli per imparare a fare la pizza".
Altro 'neo' del sistema, il numero limitatissimo dei mediatori culturali: solo 379 in tutti i penitenziari italiani, ovvero 1,73 ogni 100 detenuti stranieri, molti dei quali lavorano a titolo volontario. "Tutta questa situazione comporta disagio - denuncia ancora Gonnella - e il disagio genera conflitti e litigiosità. Il detenuto quindi per questo suo comportamento starà più giorni in carcere, e ciò comporterà un conseguente aumento dei costi". In conclusione "se una persona è trattata bene molto probabilmente avrà uno stile di vita diverso e non ricadrà nuovamente nel reato. In questo - conclude - lo Stato deve essere un esempio di legalità". Il volume contiene anche uno 'Statuto dei diritti dei detenuti migranti' con proposte di cambiamento legislativo e regolamentare, alcune delle quali hanno una valenza generale ma un impatto maggiore sulla detenzione straniera.