Palermo, 7 nov. (AdnKronos) - Il pm Antonino Di Matteo resterà a lavorare a Palermo. Il magistrato, che rappresenta l'accusa nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia, ha rifiutato la proposta del Csm di lasciare la Sicilia per motivi di sicurezza, dopo le ultime minacce di morte. Ad annunciarlo, alla terza Commissione del Csm, è stato lo stesso pm Di Matteo che ha parlato ai magistrati di una "decisione molto meditata e sofferta". "Ho rifiutato il trasferimento - dice all'Adnkronos uscendo dal Csm - perché la mia aspirazione professionale è quella di andare alla Dna, ma ritengo giusto che ciò debba avvenire solo se e quando venissi nominato in esito a una normale procedura concorsuale". I magistrati, come si apprende, hanno espresso "grande preoccupazione per la condizione di pericolo" del magistrato dopo le ultime minacce del boss Totò Riina. E lo hanno invitato a "ripensarci". "Accettare un trasferimento con una procedura straordinaria connessa solo a ragioni di sicurezza - dice ancora Di Matteo prima di lasciare Roma - costituirebbe, secondo me, solo un segnale di resa personale ed istituzionale che non intendo dare". Era l'ottobre del 2013 quando il boss Totò Riina, mentre era detenuto nel carcere Opera di Milano, parlando con un altro detenuto, Alberto Lo Russo dice: "E allora organizziamola questa cosa. Facciamola grossa e dico non ne parliamo più. Di Matteo gli hanno rafforzato la scorta non se ne va più... una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo... io ve l'ho detto ieri deve succedere un manicomio deve succedere per forza...”. Non solo. Dopo pochi giorni pronuncia anche altre frasi choc su Di Matteo: “Questo pubblico ministero di questo processo, che mi sta facendo uscire pazzo, per dire, come non ti verrei ad ammazzare a te, come non te la farei venire a pescare, a prendere tonno, ti farei diventare il primo tonno, il tono buono... minchia ho una rabbia, mi sento ancora in forma, mi sento ancora in forma porca miseria... perché speranza dei giovani, no, no, no a me non devono insegnare nulla... io pure che ho cento anni. Sono un uomo e so quello che devo fare...”. Ed ancora un altro riferimento al capo dello Stato: “... questo Di Matteo, questo disonorato, questo prende pure il Presidente della Repubblica... ci finisce... lo sapete come gli finisce a questo la carriera? Come gliel'hanno fatta finire a quello palermitano, al pubblico ministero palermitano”. “A Castiglione”, risponde Lo Russo. Un errore, secondo gli investigatori: starebbe parlando del procuratore Pietro Scaglione, pure lui ucciso per mano mafiosa.